Stasera ci facciamo il padrino

racconto erotico padrino

L’ultima volta che l’avevo vista si metteva ancora il pollice in bocca. Aveva un apparecchio ai denti e portava un paio di occhiali da vista con una montatura tartaruga che sembravano più adatti a sua nonna che a una ragazzina di sedici anni.

Ora sono qui imbambolato a fissarla dietro al muro di bottiglie del piano bar sperando che mio cognato non se ne accorga.

Fanny è sbocciata come un fiore negli ultimi – Quanti sono? Tre anni che non li vedo? – cazzo, negli ultimi tre anni!

Per me in questi tre anni non è successo niente. Esco di casa alle sette, vado in ufficio, esco dall’ufficio. Mi faccio qualche aperitivo fuori con Spinder, che poi tanto non concludo mai con nessuna e sta diventando un rapporto fra me e l’app, piuttosto che fra me e le ragazze che sono sull’app. Farei molto prima a farmi una sega guardando le foto dei loro account, ma mi sembra di essere un pervertito solo all’idea. E forse lo sono. Colpa dei troppi anni di servizio come chierichetto sotto Don Mauro che poi è finito dentro.

Mi piacciono le ragazze giovani, ma non così giovani. Allora perché non riesco a staccarle gli occhi di dosso? Fanny frequenta il primo anno di Medicina, va in palestra tutti i giorni e gioca a calcio. Insomma è sveglia, intelligente, sportiva… e tre anni fa aveva l’apparecchio e puzzava di sudore come tutti gli adolescenti.

Stasera per il compleanno di suo padre ha deciso di far vedere a tutti che è cambiata. Indossa un tubino cortissimo che le fascia il corpo longilineo, tiene le gambe scoperte e stringe scabroso dei fianchi che verrebbe voglia di masticarli. Ha un corpo piccolo, Fanny, non si è alzata molto negli anni,  fatta eccezione per i tacchi vertiginosi che indossa stasera.

Il tubino lascia scoperto il petto fino al limite della decenza, ogni movimento che fa col bicchiere elegantemente tenuto in mano preme i suoi seni l’uno contro l’altro mostrando una carne soda e compatta. È una quasi una terza, ed è stretta da paura in quello che potrebbe essere un push up di pizzo che si intravede sotto il vestito.

Il suo sorriso è perfetto, e so già perché, ma è la bocca che non avevo mai notato. Carnosa e naturalmente piena.

Ecco, i nostri sguardi si sono incrociati e non mi rimane altro da fare che abbassare gli occhi sul mio Godfather. Dov’è il ghiaccio? Questi cubetti brillanti assomigliano ai suoi denti bianchi. E io vorrei leccarli. Vorrei leccarle ogni centimetro del corpo.

“Cosa stai bevendo, zio?” Si è avvicinata. Perché no si è dimenticata di me? È chiaro che per lei è passato molto più tempo che per me. Alzo il bicchiere e la guardo attraverso il vetro.

“Godfather. Scotch e amaretto.”

Lei si mette a ridere e mi si avvicina tantissimo. Sento il profumo costoso che le deve aver pagato mio cognato avvolgermi le narici. Penso che non va bene. Penso che anche se non è la figlia di mia sorella le mie fantasie sono sbagliate. Poi penso che magari anche lei ci sta pensando.

“Godfather? Mi stai dicendo che tu sei il mio padrino e stai bevendo un cocktail che si chiama letteralmente Il Padrino?”

Mi guarda con i suoi occhi color menta mentre con le labbra si avvicina al mio bicchiere. Tiene ancora il pugno il flute di spumante e io immagino che al posto del bicchiere ci sia il mio cazzo.

Non smette di guardarmi, vuole che io la abbeveri. Prende una lunga sorsata del mio cocktail mentre con una mano mi tiene il braccio e lo stringe che sembra quasi massaggiarlo.

“È buono,” mi dice mentre io rimango pietrificato. “Allora, cosa mi racconti? L’ultima volta che ci siamo visti stavamo giocando a…”

“Dama!” le rispondo io. “E tu mi hai battuto.”

“Sì, esatto, ti devo una rivincita. Ce l’hai il mio numero?”

La chiamano, lei si gira di scatto verso mio cognato e nel farlo si sposta indietro, sfrega il suo culo contro il cavallo dei miei pantaloni. Sorride agli ospiti con la complicità che la profondità della scena è confusa dal piano bar dietro al quale siamo riparati. Lei mi sente, capisce. Sa.

Gira il volto verso di me, accade tutto in un momento. Mi sorride.

“Ce l’hai il mio numero?” mi chiede ancora mentre io annuisco. “Allora usalo.”

E se ne va, non prima di aver allungato la mano dietro di sé e avermi graffiato con le unghie il cazzo gonfio dietro i pantaloni.

“Preparamene uno, voglio farmi un Godfather…” mi dice prima di allontanarsi.